sabato 9 giugno 2018

Gentiloni “Pericolosissima la fascinazione per Putin L’Italia è in cerca di guai” (Repubblica)

«Non possiamo permetterci che l’Italia tradisca i suoi fondamenti». Paolo Gentiloni parla del G7 in Canada e degli impegni che il Paese deve mantenere di fronte ai partner mondiali a RepIdee Bologna, 
intervistato dal direttore di Repubblica Mario Calabresi. L’ex premier - che ha poi pranzato con i migranti nelle cucine popolari del volontariato di

sinistra create da Roberto Morgantini - riflette sul nuovo governo gialloverde, sui rischi del sovranismo e sulla «fascinazione» verso la Russia, ma anche sulla sinistra da ricostruire.
Gentiloni, in Canada c’è il G7 preparato dal suo governo. Lei ha già fatto il passaggio di consegne con il nuovo governo: quali consigli dà al premier Giuseppe Conte?
«Il G7 arriva in un momento delicatissimo. I rapporti transatlantici sono attraversati da difficoltà come forse non mai, almeno in momenti recenti. È un incontro importante per evitare una escalation sul piano commerciale che farebbe molto male a Paesi come l’Italia. Non ho particolari consigli da dare a Conte, gli faccio gli auguri. Io la penso in modo sideralmente diverso dal governo, ma per me le istituzioni non sono scatolette di tonno e se nasce un nuovo governo gli auguri si fanno. Mi auguro solo che l’Italia faccia l’Italia. L’ultima cosa che ci possiamo permettere è presentarci come l’Italia che tradisce i suoi fondamenti. Conte faccia il presidente del Consiglio dell’Italia che abbiamo sempre
avuto in questi decenni».                                                             
Come giudica le aperture fatte dal governo verso la Russia?
«È una strada pericolosissima. Negli ultimi decenni l’Italia è stata tra i Paesi più europeisti. Siamo  sempre stati alleati degli Stati Uniti, mantenendo però un dialogo con la Russia. Una sorta di doppio binario. Se ora questo governo pensa di mettere in discussione la nostra collocazione atlantica, mette in discussione un pilastro fondamentale della nostra Repubblica. E questo è pericoloso».
Ma lei come si spiega questa fascinazione nei confronti di Putin?
«Credo che da parte della Lega ci sia qualcosa di più serio e inquietante in questa “fascinazione”. Si parla molto di sovranismo, cioè dell’idea che si possa alimentare il nazionalismo soprassedendo - almeno da parte di Putin, spero non di Salvini – su aspetti marginali legati ai diritti delle persone. Mi preoccupa il fascino di queste logiche sovraniste e tardo imperiali che si aggirano in Europa. Pensiamo anche alla Brexit, alla Turchia di Erdogan...».
Il nuovo governo spinge per regole diverse anche sull’immigrazione. Come giudica questo atteggiamento?
«Intanto, che lo si voglia o no, la sicurezza è un tema essenziale e sensibile. Oggi i numeri ci dicono che si corrono pochissimi rischi rispetto al passato, ma una delle cose che la sinistra deve capire è il bisogno dei cittadini di essere rassicurati. La sicurezza è la nostra grande priorità. E credo che sui flussi migratori il mio governo abbia ottenuto risultati straordinari. Scusate se me la canto e me la suono, ma abbiamo creato rapporti stabili con le autorità libiche e abbiamo acceso i riflettori sul grande problema umanitario dei rifugiati in Libia. Questa è la verità, mi spiace se qualcuno non è d’accordo. Aggiungo anche che la contrarietà dell’Italia alla riforma del regolamento di Dublino non è una vittoria del nuovo governo: era contenuta nei dossier che abbiamo passato a Conte. Ma la nostra contrarietà è opposta a quella di Paesi come l’Ungheria, che vorrebbero trattenere tutti i migranti nei Paesi del Mediterraneo. Se è questa la linea dell’Italia, auguri».
Quali sono i rischi dell’approccio della Lega sui flussi migratori?
«Io penso che di tutto abbiamo bisogno, noi Paesi del Mediterraneo, tranne che di un governo aggressivo verso i Paesi confinanti o aggressivo verso chi professa fedi diverse. Non abbiamo bisogno di un governo che non si accorge della gravità di quanto avvenuto a Rosarno l’altro giorno, quando è stato ammazzato il bracciante maliano Soumayla Sacko, perché era uno che si occupava di diritti umani, di diritti sindacali: era uno di noi. Non dobbiamo aver paura di dirlo. Perché lo scadimento su questo non lo possiamo accettare. Un governo aggressivo su queste cose non mi fa sentire più sicuro. Un’Italia più aggressiva non è un’Italia più sicura ma un’Italia in cerca di guai».
Un governo che mettesse la maglietta di Calderoli ci metterebbe a rischio tutti?
«Ovviamente. Non capisco perché si debbano dire cose che poi mi pare che il ministro Salvini abbia apprezzabilmente corretto nei confronti di un Paese vicino come la Tunisia. Bisogna aiutare la Tunisia, non insultare la Tunisia».
Veniamo all’Italia. Come si fa a evitare l’aumento delll’Iva, tagliando le tasse e facendo il reddito di cittadinanza?
«Chiunque abbia un minimo di buon senso sa che non è possibile. Quello che mi preoccupa è che noi  ci stiamo facendo del male quando  il governo non ha ancora iniziato a lavorare. Oggi gli esponenti del governo sono a fare comizi per la campagna elettorale. Vi assicuro che i primi giorni che ho passato a Palazzo Chigi tutto avrei pensato tranne che andare a fare dei comizi. A me preoccupa che la credibilità economica del Paese sia in pericolo dopo solo due settimane, quando ci sono voluti due anni per ricostruirla. Questo accavallarsi di minacce e promesse è costato già centinaia di milioni sui mercati. Se si va avanti così, questa sarà la luna di miele politica più costosa degli ultimi anni».
Se ci fossero state le elezioni anticipate a settembre, diciamo “ultra-anticipate”, lei sarebbe stato il candidato del Pd...
«L’ultra-candidato...».
Ecco, ma ora cosa farà? Si candida a segretario?
«Intanto sono in campagna elettorale. Le amministrative sono un test importante per l’elettorato di sinistra. C’è bisogno della mobilitazione di tutto l’arco di sinistra e centrosinistra. Poi penso che la cosa più urgente sia ricostruire il progetto di Arturo Parisi: costruire un’alternativa di governo, con basi sociali e politiche. Ecco, io voglio mettermi a lavorare per questo. Bisogna ricostruire un progetto per un’alternativa di governo. Prima o poi servirà».
In quale forma intende lavorarci? Per ora ci si divide: chi dice che serve un Fronte repubblicano, chi dice che si deve ripartire dal Pd.
«Non la farei così estrema. Noi dobbiamo ricostruire i fili di connessione con tanti mondi. Dobbiamo ricostruire il tessuto di una alleanza, col movimento #metoo, i sindacati, le associazioni. Se il Pd è semplicemente un “emettitore” di messaggi senza mediazioni e reti non andiamo lontani. Bisogna rimettere il Pd al servizio di queste reti, che fanno la ricchezza della nostra società».
Qualcuno in sala dice “era ora”, ma come è possibile che il Pd sia sceso dal 40% al 18%?
«Tante cose hanno influito. C’è la  sconfitta al referendum del 2016: un trauma. C’è che negli ultimi vent’anni chiunque ha governato poi ha perso... Questo sia di monito all’arroganza di chi governa oggi. Il fatto è che noi abbiamo perso molto male. Ci siamo un po’ troppo dilettati con i vincenti della globalizzazione, abbiam  frequentato quelli che ce la fanno, non chi è rimasto indietro. Capisco il motivo: tu provi a spargere ottimismo. Ed è giusto. Ma attenzione: non imentichiamo che i cambiamenti della società producono squilibri e che quella frase di Kennedy, “l’onda di marea fa alzare tutte le barche”, non è più vera. Non solo in Italia e non solo da oggi. L’onda di marea c’è stata ma alcune barche sono salite e altre sono rimaste giù. E la Flat tax peggiorerà le cose. Ora dobbiamo riportare la sinistra nel suo ambiente naturale, riprendere a frequentare le reti che fanno forte la nostra società. La sinistra deve essere di aiuto. Non deve essere una carriera, perché se la sinistra è soltanto una carriera, non va da nessuna parte».
Finita questa esperienza a Palazzo Chigi, cosa le resta?
«La cosa meravigliosa di governare l’Italia è scoprire che meraviglioso Paese noi siamo. Teniamocelo stretto, perché è il nostro Paese, e nessuno ha il diritto di distruggere i suoi pilastri fondamentali. Ricoprire questo ruolo è stato un privilegio e mai avrei pensato da piccolo di fare il premier. Se me l’avessero detto, avrei chiamato una ambulanza. Rivendico una cosa: penso che chi ha un ruolo istutuzionale debba cercare anche nei comportamenti e nel linguaggio di essere di
esempio. I cittadini rispettano le istituzioni anche se chi le incarna le interpreta in modo sobrio e rispettoso. Non mi piacciono le demagogie su questo. Chiediamo a chi ci governa serietà e dedizione».
di SILVIA BIGNAMI


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