martedì 19 maggio 2015

Quando lo sport diventa dipendenza

La televisione è sempre più tentatrice, anche se quest’estate non ci sarà nessun appuntamento di grande richiamo come negli anni pari 
(Europei o Mondiali di calcio, Olimpiadi ogni quattro anni). 

Sì, perché in quel caso centinaia di ore di trasmissioni di qualsiasi sport a tutte le ore offrono la tentazione di trasformarsi in sportivo da poltrona.
Tanti quelli che cedono e sbagliano: il campionato italiano di poltroneria ha sempre più squadre iscritte e la lotta per lo scudetto è incertissima. Meno frequentato il campionato opposto, quello degli ossessionati da far sport sempre e comunque, spesso pure troppo.
Come per altre attività, è sempre una questione di misura: troppo poco fa male, troppo rischia di essere devastante. Lo sport può rivelarsi dannoso infatti se diventa sovraesercizio, iperattività, se arriva a influenzare in modo crescente l’intera vita. Una condizione sostenuta da insoddisfazione per il proprio corpo che spesso si lega a disordini alimentari.
La psicoterapeuta Flaminia Cordeschi, presidente della Federazione italiana disturbi alimentari e referente della sede romana, ci chiarisce cosa si intende con esercizio fisico eccessivo e quali sono i meccanismi psicologici che ne stanno alla base.
Dottoressa, gli effetti benefici di una regolare attività fisica sono risaputi. Quando invece l’esercizio fisico può comportare rischi piuttosto che vantaggi per la salute?
«L’attività fisica può costituire un fattore di rischio quando spinge ad adottare schemi rigidi di allenamento e di dieta allo scopo di migliorare la propria performance sportiva. Per esempio si inseguono forme e prestazioni fisiche perfette attraverso sovrallenamento, si adottano diete iperproteiche o, peggio ancora, si utilizzano tutta una serie di manovre finalizzate al controllo di un peso particolare – uso di lassativi, diuretici, integratori, anabolizzanti ma anche vomito indotto –. A tal proposito si parla di vigoressia e anoressia atletica, nuove forme di disturbi alimentari emergenti legate a eccesso di sport».
Cosa spinge a un abuso di sport – e del proprio corpo – fino a questo punto?
«Alla base c’è un’alterata percezione dell’immagine corporea, l’idea persistente di non essere adeguati “dentro” e di conseguenza “fuori”. Allora lo sport diventa un tentativo disperato di crearsi un’immagine esterna “perfetta” da contrapporre alla percezione del proprio stato interno. Lo sport diventa totalizzante: la persona esiste solo sulla base della performance».
Vigoressia e anoressia atletica: quali sono le caratteristiche di questi disturbi?
«La vigoressia è tipica dei maschi, giovani, in particolare sono i body builder muscolosi che non si percepiscono mai abbastanza. Sembra esserci l’esigenza di ancorarsi a un’immagine corporea idealizzata come copertura e sostegno ai fini di sostenere l’identità precaria della persona. L’anoressia atletica invece, tipica delle ragazze, condivide con l’anoressia classica il perseguimento della magrezza ma in questo caso il corpo magro deve essere soprattutto funzionante dal punto di vista dell’efficienza sportiva. L’attenersi a un regime alimentare ristretto è volto a migliorare i risultati sportivi, spesso per compiacere allenatore o genitore con passione per lo sport».
Esistono sport più a rischio per sviluppare questi disturbi?
«Sì, per esempio danza classica, ippica, ginnastica ritmica e ciclismo si prestano per l’anoressia atletica in quanto il peso basso è particolarmente apprezzato. Invece per la vigoressia sono favoriti sport sostenuti da un peso importante».
Quali sono i segnali di una “dipendenza da sport”?
«Allenamento di molte ore; camminare, muoversi in modo compulsivo; attenzione minuziosa al cibo, alla quantità e qualità di cosa mangiamo; chiusura sul piano sociale, preferenza di sport isolati, alterazione del tono dell’umore. E ci sono segnali medici come per esempio la scomparsa delle mestruazioni per le ragazze, non dovuta a stress da allenamento o da gara ma a sfruttamento eccessivo del corpo».
Certi atteggiamenti estremi appartengono solo agli sportivi professionisti oppure si possono ritrovare anche tra gli sportivi da palestra e fai-da-te?
«Certe forme estremizzate e rischiose di tali disturbi si possono trovare in chi pratica sport agonistico ma possono insidiarsi e trovare terreno fertile anche negli sportivi da palestra. La palestra, da luogo di benessere, può diventare così l’ambiente che agevola situazioni di rischio, proponendo stili di vita e modelli estetici che attecchiscono in modo pervasivo su personalità predisposte».
Cosa fare quando si coglie questo tipo di disagio?
«È il caso di consultare specialisti esperti. Le associazioni appartenenti alla Federazione italiana disturbi alimentari, presenti in otto città italiane, promuovono un modello di intervento multidisciplinare integrato, il più indicato secondo il ministero della Sanità. Secondo le “linee guida” nazionali e internazionali, infatti, l’approccio multidisciplinare – che coinvolge figure professionali diverse: psicoterapeuti, medici nutrizionisti eventualmente psichiatri — risulta più efficace rispetto a interventi frammentati di singoli professionisti (www.fidadisturbialimentari.com)».


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