lunedì 6 agosto 2012

Siot, a 40 anni dall’attentato Quell’inferno tra i tank (Il Piccolo)

Il 4 agosto 1972, 4 bombe piazzate dai palestinesi esplosero a San Dorligo
Il questore Padulano: «Situazione sempre degna della massima attenzione»
Per giorni e giorni, prima che il 27 luglio iniziasse a tenere banco l’overdose di gare e partite, di Londra 2012 i media avevano parlato soprattutto per l’allarme attentati e per le polemiche sugli omaggi da rendere alla memoria degli atleti di Israele vittime del blitz dei terroristi palestinesi ai Giochi diMonacodi Baviera, nel settembre del ’72. Omaggi speciali perché speciale è il funesto anniversario: 40 anni. Tanti quanti ne sono passati (accadeva proprio in queste giornate estive di 40 anni fa, tra le 3.15 e le 3.30 della notte di venerdì 4 agosto) dal più grave attentato subito - per stessa mano di quella di Monaco ’72, chiamata Settembre Nero - da Trieste nella propria storia: le quattro bombe fatte esplodere su altrettante megacisterne di petrolio nel comprensorio Siot, la tank-farm di San Dorligo, dove si scatenò subito un inferno di fuoco e da dove si levarono poi colonne di fumo alte fino a tre chilometri. Le videro persino dal Friuli. «Alle 3.15 ho sentito un formidabile scoppio e visto un lampo, ho pensato ad un fulmine», il racconto di un guardiano notturno riportato nell’articolo di prima pagina del Piccolo del 5 agosto ’72 dal giornalista Ranieri Ponis. L’obiettivo della prima carica era la cisterna 44, con dentro 80mila tonnellate di greggio. Il suo cilindro di sicurezza in acciaio resse. Non però, un quarto d’ora dopo, quelli dei tank 11,21 e 54: oltre 200mila tonnellate di petrolio, alla fine, invasero la piana di San Dorligo, lambendo gli altri contenitori. A quel punto i tecnici della Siot iniziarono a svuotarli a tutta, pompando verso la pipeline sotto le Alpi più greggio possibile. Non ci scappò il morto, ma una ventina furono i feriti, in particolare per ustioni, quasi tutti tra gli eroici vigili del fuoco - arrivati anche da Veneto e Lombardia - che si prodigarono a lungo per spegnere gli incendi provocati dallo scoppio delle bombe e dallo spargimento del greggio sulla piana, evitando così quella che si sarebbe potuta trasformare in un’apocalisse. Fu il primo vero batter di colpo in Europa occidentale di quella che poi sarebbe diventata una logorante paura quotidiana. Trieste e i depositi di partenza della pipeline di petrolio diretta a Ingolstadt, in Germania, furono in effetti scelti accuratamente, se è vero che la recente letteratura sulla storia della politica internazionale del Novecento inserisce proprio la nostra città nell’allora rete delle basi italiane del Mossad. «Vogliamo infliggere  violenti colpi ai nemici della rivoluzione palestinese e agli interessi imperialistici che sostengono il sionismo, questo atto è in armonia con altre azioni da intraprendere nella Germania federale e in altri Paesi d’Europa ». A più di 48 ore di distanza dai boati che avevano squarciato terra e cielo di Trieste, a Damasco spuntò un dispaccio d’agenzia a metà fra la rivendicazione e l’annuncio di nuove violente iniziative. Era il 6 agosto 1972. Da lì a un mese i Fedayyìn di Settembre Nero avrebbero sconvolto il  mondo intero, con il sequestro degli atleti israeliani nel Villaggio olimpico, simbolo di convivenza, durante i Giochi a cinque cerchi, a loro volta simbolo di incontro di civiltà. E oggi, 40 anni dopo, in cui la riuscita di un’Olimpiade come quella in corso a Londra si misura in sicurezza e soldi spesi per quella, che aria tira attorno alla piana della Siot? «Resta sempre, in un panorama internazionale qual è quello attuale, una situazione degna della massima attenzione », spiega il questore Giuseppe Padulano, il capo della polizia di Trieste.
Piero Rauber

ANCORA OGGI
Grotte carsiche contaminate dalle ceneri di idrocarburi

Quella che viene ritenuta dalla storia la mente dell’attacco alla Siot si chiamava Mohamed Boudia. Algerino, marxista. Saltò in aria a Parigi un anno dopo in un misterioso episodio dinamitardo, messo in atto, si dice, dal Mossad. Da allora l’attentato triestino del ’72 torna ciclicamente  a far parlare di sé, prima ancora che in ricorrenze come questa, per i misteri di politica internazionale di ieri, per le paure di un eventuale incidente o di un nuovo attentato di domani, nonché per l’inquinamento di cui staremmo pagando le conseguenze oggi. Alla fine del secondo Millennio, in effetti, tra i faldoni del dossier Mitrokhin - quello sui servizi segreti sovietici - spuntò proprio un piano per far saltare in aria la condotta di greggio di San Dorligo. Ma fu dopo le Torri Gemelle, e dopo l’invasione alleata di Afghanistan e Iraq, nei primi anni del terzo Millennio dunque, che la piana tornò a essere considerata obiettivo sensibile per possibili attentati. Vennero i rambo dell’esercito italiano, e fece pure rotta da queste parti una società privata di sicurezza nata daex 007 del Mossad. Arriviamo alla seconda metà del decennio scorso:dopo gli echi del Libano, ecco irrompere sulla scena la nuova paura legata all’eventuale costruzione di un rigassificatore: quella dell’effetto-domino che alcuni esperti sostengono potrebbe determinarsi in caso di incidente o attentato. In mezzo a tante proiezioni un dato di fatto, probabilmente il più allarmante, come ribadito recentemente da uno studio dell’Istituto superiore di sanità: in seguito all’attentato del ’72, le ceneri residue finirono nelle nostre grotte e i loro veleni nelle falde acquifere. Una di queste cavità, la Grotta dei colombi, vicino a Basovizza, fu addirittura usata come discarica nel corso delle operazioni di pulizia della piana. I terreni interessati dallo sversamento di 40 anni fa, inoltre, presentano ancora oggi in certi punti parametri di idrocarburi tre volte superiori alla norma. Nel tratto interessato infine dall’incidente tecnico del Ferragosto 2006 - per effetto del quale furono assorbiti dal terreno circa 75 metri cubi di petrolio – sono  state registrate concentrazioni di benzene superiori di cento volte al limite. 

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